Primavera 2000Studio delle dinamiche percettive nel pilota d'aeromobile riguardanti lo scenario e la pista d'atterraggio in avvicinamenti a vista
Premessa
Le norme operative di una compagnia di trasporto aereo devono essere sintonizzate con diverse esigenze costituite dalla conformità alle leggi nazionali, ai regolamenti e agli standard internazionali e dall'attuazione delle raccomandazioni scaturite dall'analisi degli incidenti per la prevenzione di ricorrenze di eventi dovuti a fattori causali noti.
Questa seconda esigenza è spesso un'opzione trascurata a causa di assenza di norme cogenti che richiedano l'applicazione di tali racomandazioni, oppure per ragioni di economia o per motivi di negligente incompetenza.
Dall'entrata in servizio dei primi jet negli anni '60 fino alla fine degli anni '70, ci fu un gran numero di incidenti in cui l'aeromobile impattava di notte contro il suolo in fase di avvicinamento intermedio o finale, a vista e di notte.
Quando furono determinate le cause di questi disastri (vedi più avanti) furono presi una serie di provvedimenti che portarono gradualmente ad un miglioramento della statistica di questo tipo di incidenti.
I piloti italiani fecero enormi pressioni per l'installazione sugli aeroporti nazionali, di aiuti strumentali e visivi per avvicinamenti di precisione con indicatori di distanza dalla pista (DME) laddove non c'erano altro che procedure NDB.
Le norme operative di compagnia permisero, quindi, solamente il circling (circuitazione per la direttrice d'atterraggio opposta) notturno a seguito di procedura d'avvicinamento strumentale, in quanto le prue e i tempi d'allontanamento garantivano con adeguato margine la separazione dagli ostacoli [in conformità al DOC 8168 dell'ICAO].
Fu attuata e ripetuta nel tempo una campagna di educazione e sensibilizzazione tramite documenti, filmati e specifiche iniziative addestrative.
Gli incidenti in condizioni di avvicinamenti a vista di notte diventarono sempre più rari e nell'esperienza della maggior parte dei piloti attualmente in attività è sempre più difficile ritrovare approfondita conoscenza dei problemi associati a queste condizioni di volo.
Ma l'esigenza di essere operativi e competitivi ha fatto riproporre alcune possibilità di operare a vista di notte come si evince dalla norma del manuale operativo basico della compagnia di bandiera di seguito riprodotto.
Gruppo Alitalia-O.M. General Basic-Operating Procedures-All Weather Operations
8.4 pag 42- 31 luglio 99
9 VISUALAPPROACH
Un avvicinamento a vista può essere richiesto alI’ATC o accettato, se da questo proposto:
a. omissis (in ore diurne)
b. in ore notturne, solamente a seguito di procedura strumentale di avvicinamento o di guida radar per il posizionamento dell’a/m entro il circuito di traffico aeroportuale, con condizioni meteorologiche che consentano di completare il circuito a vista.
NOTA 1: Per aeroporti italiani sono richiesti di notte, un “ceiling” non inferiore alla quota di inizio procedura ed una visibilità non inferiore a 5 km.
NOTA 2: In aeroporti con orografia particolare, l’avvicinamento a vista notturno può essere proibito con apposita nota nelle “ArrivaI Info.“
In caso di inapplicabilità di procedure strumentali (ad es. causa avaria delle radioassistenze aeroportuali) l’avvicinamento a vista durante le ore notturne potrà essere effettuato solo su specifica autorizzazione dei Responsabili di Settore di aeromobile interessati che ne detteranno le norme di effettuazione.
Si possono constatare diverse incongruenze ad iniziare dalla differenza sostanziale tra una posizione autodeterminata dal pilota in base a precisi riferimenti strumentali nella quale si trova a velocità, prue ed altezze prestabilite per iniziare una circuitazione con parametri altrettanto definiti, rispetto ad una posizione generica "entro il circuito di traffico aeroportuale" nella quale il controllore ATC ha condotto il velivolo.
Inoltre, chi, ed in base a quali caratteristiche orografiche, ha la facoltà di proibire tali operazioni?
Quali sono i criteri con i quali i Responsabili di Settore possono autorizzare avvicinamenti a vista di notte in caso di avaria di radioassistenze e di inapplicabilità di procedure strumentali?
Se tenete conto che molto di quello che leggerete di seguito può essere una novità per molti piloti di linea attualmente in attività, credo che alle suddette domande dovrebbero essere date delle precise risposte, in particolare da parte dell'autorità dell'aviazione civile (ENAC) che ha la funzione di garantire il cittadino passeggero/utente [dalla cui parte siamo sempre stati].
(gli autori del sito)
Da un articolo redatto per "Il Notiziario" ANPAC nel luglio 1989 dal Com.te AC Pezzopane
Rielaborazione dello stesso autore
Introduzione
L'uomo in ogni tipo di movimento autonomo, dal camminare all'andare in bicicletta ed a qualsiasi altro uso di mezzi per spostamenti sulla superficie terrestre, fa un uso specifico delle proprie sensazioni percettive, secondo modalità sviluppate con l'apprendimento fin dai primi passi.
Il canale percettivo predominante è quello della vista; la visione del mondo esterno è l'elemento che può fornire i riferimenti necessari al movimento.
Tali riferimenti si possono riassumere sinteticamente in variazioni prospettiche dello scenario che circonda l'uomo.
Dato che il movimento è generalmente finalizzato al raggiungimento di luoghi e posizioni sulla superficie terrestre, le variazioni dei rapporti dímensionali degli oggetti che circondano l'uomo e la percezione della variazione delle posizioni relative costituiscono i riferimenti visivi per percorrere determinate traiettorie.
Più precisamente, l'insieme di questi elementi consente la percezione di un punto da cui hanno origine le linee di fuga secondo le quali scorrono e si avvicinano le immagini di oggetti adiacenti al percorso.
Da ciò è intuitiva la difficoltà di mantenere precise traiettorie di rnovimento in assenza di oggetti o elementi di riferimento sufficientemente ravvicinati.
Su una superficie piana desertica o sul mare non è affatto possibile mantenere coerenze di traiettoria analoghe a ciò che si può fare su una strada ben delimitata e con molti riferimenti adiacenti.
Un fenomeno analogo avviene anche in volo dove la lontananza dei punti di riferimento e il fatto che il moto avviene su tre dimensioni accentuano i problemi associati al mantenimento di traiettorie coerenti.
In particolare per la fase di avvicinamento finale, dopo l'introduzione delle operazioni con aeromobili a getto, sono stati evidenziati, negli anni, una serie di fattori che hanno contribuito al verificarsí di un notevole numero di incidenti e che sono direttamente collegabili a caratteristiche dello scenario che il pilota si trova di fronte in questa delicata fase di volo.
Tali caratteristiche sono quelle fisiche permanenti dell'aeroporto e della pista ed altre ancora, variabili in funzione delle condizioni ambientali climatologiche e di luce.
Le ore notturne, nelle quali si sono prevalentemente verificati gli incidenti in avvicinamento finale, accentuano gli aspetti negativi dello scenario aeroportuale che sono stati indicati in una circolare della Civil Aviation Authority britannica in:
- sloping approach terrain (terreno in pendenza antistante la pista);
- sloping runway (pista in pendenza);
- runway width (larghezza di pista);
- featureless approach terrain (terreno sottostante senza elementi utili ai fini della percezione della posizione;
- runway lighting intensity (intensità dell'illuminazione di pista).
A questi elementi vanno aggìunti fattori ambientali quali:
- pioggia sul parabrezza
- rovesci di pioggia o nebbia a banchi.
Prima di esaminare in dettaglio alcune caratteristiche fisiche dello scenario aeroportuale e il modo in cui esse influenzano la percezione del pilota e la sua capacità di seguire una traiettoria coerente è opportuno analizzare la visione della pista su una traiettoria d'avvicinamento in condizioni ottimali.
Prospettiva di pista, dinamica della sua evoluzione in avvicinamento
Soffermandoci all'evoluzione dell'immagine della pista man mano che ci si avvicina ad essa su una traiettoria costante, è possibile definire la forma che essa assume riportandone la proiezione su un piano verticale perpendicolare alla direzione dei movimento. Per semplicità assumiamo che l'inclinazione della traiettoria sia di 3 gradi rispetto all'orizzontale e che essa termini sul punto di contatto, definito anche punto di mira [aiming point] per quel che diremo in seguito, e che tale punto sia dislocato a 300 m di distanza dalla soglia pista, che viene sorvolata durante l'atterraggio.
Il pilota vede la pista come un minuscolo rettangolo disposto verticalmente che, a distanze superiori alle 5 miglia (8000 m) e ad un'altezza dal livello della pista di circa 1500 ft (500 m), non prende più di alcuni decimi di grado del proprio campo visivo.
Man mano che si considerano punti più prossimi alla pista lungo il sentiero d'avvicinamento, l'immagine della stessa, ingrandendosi, modifica anche la sua forma che diviene decisamente quella di un trapezio il cui rapporto tra base maggiore (la soglia pista da sorvolare) e la base minore (la soglia pista opposta più lontana) ha valori sempre più grandi fino a che, in prossimità del contatto, l'immagine della pista che il pilota ha davanti a sè è in pratica un triangolo.
Così come il movìmento su una superficie a due dimensioni si realizza lungo traiettorie definite dalla percezione della variazione prospettica del mondo circostante e così come la percezione del punto di arrivo si identifica con il punto di origine delle linee di fuga lungo le quali si espande l'immagine, allo stesso modo il movimento su una traiettoria aerea diretta verso una pista è percepito e quindi realizzato dal pilota osservando il modo in cui la sequenza delle immagini evidenzia un'espansione radiale avente per centro il punto di contatto (termine della traiettoria) e la variazone dell'immagine della pista che si trasforma da piccolo rettangolo in un trapezio sempre più schiacciato, seguendo questa espansione radiale.
Il disegno indica come cambia l'immagine della pista.
Da quanto detto deriva che la percezione della immobilità di un punto sulla pista in seguito ad azioni sui comandi di volo e a variazioni di assetto dei velivolo, aiuta nel far sì che la traiettoria termini su quel punto.
L'altro aspetto fondamentale è che la percezione di una graduale espansione e variazione dell'immagíne della pista, man mano che il velivolo si avvicina al punto di contatto, aiuta il pilota a realizzare una traiettoria "abbastanza" rettilinea e con inclinazione "abbastanza" costante.
Questo secondo aspetto della percezione dello scenario esterno e della sua utilizzazione per il pilotaggio non è istintivo ed immediatamente assimilabile come la identificazione del punto di contatto; è invece il risultato dell'apprendimento dell'evoluzione dell'immagine della pista realizzato dopo molti avvicinamenti effettuati anche con l'ausilio di indicazioni strumentali che facilitino la permanenza sulla traiettoria desiderata.
![]()
Quella fin qui descritta è globalmente la dinamica percettiva e la reazione motoria che, insieme, consentono al pilota di percorrere traiettorie inclinate d'avvicinamento alla pista ma non è detto che ciò consenta di percorrere traiettorie rettilinee e di inclinazione costante come vedremo nel paragrafo che segue.
Rapporto di forma quale schematizzazione visuale di riferimento relativa alla sola pista.
La capacità di piloti esperti di realizzare traiettorie coerenti nell'avvicinamento ad una pista è il risultato dell'apprendimento nella selezione di stimoli visivi, il più significativo dei quali è la prospettiva della pista, cioè la percezione dei contorni (testata e bordi) della pista stessa.
Specifichiamo che per traiettorie coerenti si intendono angolazioni del percorso d'avvicinamento intorno ai 2.5° / 3°.
Mentre di giorno alla variazione della prospettiva di pista si aggiungono altri stimoli visivi del terreno circostante, in avvicinamenti notturni, in condizioni di terreno circostante non illuminato [condizione di black hole approach] la percezione delle sole luci di testata e bordo pista, quindi della sola forma geometrica del perimetro della pista, è l'unico elemento di riferimento per la determinazione della traiettoria inclinata d'avvicinamento.
Diversi esperimenti e ricerche hanno fornito supporto empirico alla estesa letteratura d'aviazione riguardante le illusioni visive che provocano traiettorie piatte in avvicinamenti visuali notturni, come vedremo più avanti.
Laddove le luci di pista sono l'unico elemento visibile, i piloti in avvicinamento possono trovarsi a quote molto più basse di quello a cui penserebbero di essere se non avessero indicazioni altimetriche, ed è quindi opportuno rilevare quali sono le caratteristiche dell'immagine del perimetro della pista che influiscono sulla percezione del pilota per poter intervenire in sede progettuale a minimizzarne gli aspetti negativi.
Innanzitutto occorre individuare quel denominatore comune presente nella variazione prospettica della visione della pista che consente ai piloti di volare, anche se in modo approssimativo, certe traiettorie. In altre parole dovrebbe essere possibile indicare un termine costante di riferimento insito nella variabilità dell'immagine. E' evidente che ciò che il pilota apprezza è lo "schiacciamento" del poligono che rappresenta la pista per attestarsi sulla traiettoria voluta.
Questo "schiacciamento", cosiddetto generalmente nella letteratura aviatoria, viene definito rapporto di forma dalla psicologia della percezione.
Questo rapporto ha una relazione diretta con le caratteristiche fisiche della pista e con l'angolo di avvicinamento, è indipendente dalle caratteristiche del terreno circostante, quindi è tanto più valido in condizioni notturne e di blak hole e non ha relazione con la linea d'orizzonte o con il parabrezza del velivolo.
Esso è definito dalla seguente formula RF = tg alfa L/l dove alfa è l'angolo della traiettoria d'avvicinamento rispetto al piano della pista, L è la lunghezza ed l la larghezza della pista.
La validità del rapporto di forma come indicazione dello stimolo visivo è compresa in un massimo di 10°, a cui corrisponde un errore dell'1,5%, abbondandemente al di sotto della variabilità nel giudizio soggettivo sulla percezione di quanto viene osservato.
Intorno ai 3° il risultato della formula è in errore di solo 0,1% nel rappresentare il rapporto di forma reale percepito a livello di retina.
Va introdotto ora un concetto che implicitamente era presente nella discussione e cioè che i piloti, sviluppando la capacità di apprezzare lo schiacciamento di pista e la variazione prospettica del trapezio risultante in avvicinamento ad essa, realizzano al tempo stesso una consistente familiarità con questo meccanismo. Tale familiarità, risultato dell'apprendìmento, è il fattore ricollegabile al rapporto di forma, il pilota cioè acquista familiarità con un certo rapporto di forma in funzione dei tipo di velivolo su cui vola e del tipo di aeroporto su cui opera.
Quando parliamo di tipo di velivolo intendiamo una distinzione relativa alle prestazioni d'avvicinamento.
Velivoli a getto con velocità comprese da 120 ai 150 nodi vogliono traiettorie comprese tra 2.5° e 3°.
Velivoli a elica dell'aviazione generale o velivoli STOL usano pendenze superiori, mentre velivoli militari ad alte prestazioni possono attestarsi su pendenze leggermente inferiori.
Non entriamo nel merito di impiego promiscuo tra i suddetti tipi di velivoli in quanto generalmente non applicabile e in ogni caso per i piloti sarebbe sempre prevalente quello su velivoli più critici ed occasionale quello su velivoli a prestazioni meno spinte.
Pertanto nel rapporto di forma possiamo considerare fisso il valore dell'inclinazione della traiettoria di discesa caratteristica del velivolo ed al tempo stesso elemento di assuefazione e familiarizzazione dei pilota.
Entrando nel merito delle caratteristiche geometriche di pista troviamo invece che da aeroporto ad aeroporto lunghezza, larghezza e pendenza assumono valori sempre diversi tali da comportare anche ampie variazioni dei rapporto di forma.
I problemi non sono eccessivi per valori del rapporto di forma prossimi a ciò che corrisponde ad una situazione "familiare", mentre per valori diversi il pilota professionista ricostruisce, sulla base di successive esperienze su queste piste atipiche, un quadro di riferimento modificato a cui può ricorrere solo in specifiche circostanze.
Il dubitativo è comunque d'obbligo perchè l'affaticamento, il carico di lavoro e altre condizioni ambientali, che vedremo in seguito, non solo non permettono al pilota di selezionare un comportamento specifico per una particolare pista ma determinano generalmente un riferimento a schemi precostituiti e di cui egli ha "familiarìtà".
Va aggiunto anche che su un aeroporto con una pista a rapporto di forma atipico si possono trovare ad operare piloti che non hanno familiarità con la località mentre le informazioni disponibili riguardo alla geometria di pista non sono adeguate a fornire la necessaria prefigurazione di quello che sarà lo scenario in avvicinamento.
La tabella che segue indica i rapporti di forma per varie lunghezze di pista e per tre diversi valori dell'angolo alfa.
Per alfa = 3 gradi la pista è in piano mentre per alfa maggiore di 3 gradi la pista è in salita nella direzione di atterraggio, viceversa per alfa minore di 3 gradi la pista è in discesa.
Nell'osservare i valori dei rapporto di forma si possono fare altre interessanti osservazioni.
Rapporto di forma
Runway: L x l
Alfa=2.5°
(downslope 0.5)
Alfa=3°
(no slope)
Alfa=3.5°
(up slope 0.5)
4000 x 60
2.91
3.49
4.07
3600 x 60
2.61
3.14
3.66
3000 x 60
2.18
2.62
3.05
2600 x 60
1.89
2.27
2.65
2200 x 60
1.60
1.92
2.24
3600 x 45
3.49
4.19
4.89
3000 x 45
2.91
3.49
4.07
2600 x 45
2.52
3.02
3.53
2200 x 45
2.13
2.56
2.99
1800 x 45
1.74
2.09
2.44
La maggior lunghezza della pista induce la sensazione di essere su pendenze più elevate mentre la maggior larghezza dà la sensazione di essere su traiettorie più piatte.
Dato che l'azione correttiva del pilota è di operare per annullare la sensazione di scostamento da quella che egli ritiene essere la traiettoria ottimale possiamo individuare una serie di problemi.
Per fare un esempio pratico prendiamo in considerazione l'avvicinamento ad una pista di lunghezza 3000 m e larghezza 60 m che non abbia dislivelli tra le due testate, quindi in piano, e con un'inclinazione della traiettoria di avvicinamento di 3°.
Il rapporto di forma risultante è 2,62.
Se introduciamo una pendenza di pista di 0,5° che vada a sommarsi all'inclinazione della traiettoria, cioè una pista che si presenta in salita, il rapporto di forma diventa 3,05 cioè quello relativo ad un angolo alfa di 3,5°.
Quindi la sensazione di essere su una traiettoria più alta dovuta alla percezione dell'immagine della pista provoca una manovra del pilota tendente a riportarsi su un sentiero di discesa che gli consenta la visualizzazione di un'immagine più piatta e nel far questo il velivolo può trovarsi pericolosamente prossimo al terreno o ad ostacoli adiacenti al sentiero d'avvicinamento.
Su una pista particolarmente corta e, per giunta, in discesa il pilota avrà sempre la sensazione di essere su una traiettoria estremamente piatta e se, in mancanza di altri elementi di valutazione, egli cercherà di percorrere una traiettoria che gli consenta la percezione di un'immagine più familiare si troverà necessariamente alto, con difficoltà di mantenere o smaltire velocità, con rischio di realizzare un contatto pesante o, al contrario, di ritardare il contatto con conseguenti problemi di arresto su una pista già limitata.
Una ulteriore semplificazione presente nel discorso fatto, necessaria per comprendere la suddetta dinamica percettiva, è di aver considerato píste con pendenze costanti, quindi con assenza di gobbe o avvallamenti. L'introduzione di queste variabili complicherebbe il quadro ampliando in modo drammatico la discrepanza tra percezione e realtà.
La funzione che viene di solito attribuita dai piloti alla segnaletica orizzontale di pista, in altre parole, ai cosiddetti "pettini", è riduttiva del loro vero e più importante significato. Essi sono disposti a distanze di 150 metri e si ritiene che servano ad individuare distanze orizzontali dalla testata pista dalla quale vengono tracciati, per dare informazione al pilota relativamente alla pista residua durante la corsa di decollo o di atterraggio. Certo servono anche a questo ma la funzione più importante è quella di consentire l'individuazione della zona di contatto nella fase che precede il sorvolo della soglia pista in atterraggio, gli ultimi secondi dell'avvicinamento finale. Tanto è vero che su quasi tutte le piste di aeroporti per il traffico civile il pettine che sta a 300 metri dalla testata è inglobato nel disegno di due grossi rettangoli ai lati della linea di centro pista per facilitare l'immediata visualizzazione del punto di contatto.
Essi rappresentano l'aiming point, il punto prospetticamente fermo verso il quale vi dirigete in atterraggio.
Sono gli occhi della pista che il pilota può utilizzare come un faro che lo richiami sulla corretta traiettoria, salvo il fatto che il pilota dovrà a sua volta richiamare l'aereo [ruotare a cabrare il muso] per non fracassare il carrello sul punto di contatto.
Per verificare la dinamica percettiva descritta in questo articolo sono molto utili i giochi di simulazione di volo, con la possibilità di selezionare la pausa e osserevare la figura della pista. Se fossero esistiti vent'anni fa ci avrebbero semplificato molto la comunicazione di questi concetti [almeno apparentemente] di non facile diffusione.
Influenza di altri elementi visivi circostanti la pista, adiacenti ad essa, o facenti parte dello scenario di avvicinamento sul pilotaggio a vista di notte.
Nel precedente paragrafo abbiamo individuato nel rapporto di forma un fattore che ha la possibilità di essere considerato la chiave per visualizzare la pista in modo tale che il pilota possa attestarsi su certi angoli di discesa.
Ma non riteniamo, certamente, che la conoscenza di questo meccanismo percettivo debba divenire riferimento per procedure operative. Esso è il risultato di considerazioni su prove sperimentali di laboratorio e non sarebbe di facile assimilazione e comunque non sarebbe un riferimento affidabile a causa di altri problemi percettivi.
E' però utile conoscerlo per individuare i possibili tranelli che certi scenari di avvicinamento possono creare al pilota inconsapevole e per comprendere perché di tanto in tanto qualcuno, in particolare di notte, cerca di atterrare prima della pista.
Di questi altri problemi percettivi, che ora vedremo in dettaglio, uno in particolare è in condizioni di alterare, di notte, la linearità della traiettoria di discesa anche se la sola immagine esterna disponibile fosse quella delle luci di pista.
Si tratta della tendenza a mantenere la visione di elementi luminosi vicini e lontani sotto lo stesso angolo.
Ciò fu evidenziato a suo tempo da uno studio della Boeing su un simulatore appositamente attrezzato con riproduzione di uno scenario esterno di terreno illuminato di notte.
Tale studio si basò sull'esperienza di volo commerciale con aerei a getto, ma si ritenne a ragione, che il problema potesse essere esteso a tutti i tipi di operazioni e di aeromobilí commerciali, militari e privati.
Esso servì a misurare le relazioni tra il comportamento del pilota e le informazioni che riceve guardando all'esterno durante un avvicinamento notturno. Un certo numero di variabili (quali raggruppamenti di luci, pendenza del terreno, aree completamente buie, quota iniziale e distanze) vennero prese a campione per determinare il loro effetto sull'azione del pilota in assenza di informazione di quota.
Il modello di città ed aeroporto comprendente le luci intermittenti, con effetti di colore stroboscopici, fu reso mobile in modo da simulare la visione realistica di una discesa controllata dal pilota verso l'aeroporto. In una serie di prove 12 piloti istruttori di notevole esperienza effettuarono ciascuno 12 avvicinamenti.
Periodicamente, durante questi avvicinamenti ai piloti veniva richiesto di stimare la quota. Un carico di lavoro addizionale consisteva nel localizzare e riportare altro traffico presente nel campo visivo anteriore.
Ai piloti fu concesso di scegliere il proprio gradiente di discesa, salvo il fatto che avrebbero dovuto tentare di essere a 5000 ft e 180 mph fino a 10 NM dal contatto e a 1250 ft e 120 mph a quattro miglia e mezzo dal contatto (punti ai quali essi potevano aspettarsi di intercettare un sentiero di discesa di 3°).
Durante queste prove una variabile di grande importanza fu l'angolo visuale formato dalla zona illuminata, cioè l'angolo sotteso all'occhio del pilota fra la luce più vicina e la luce più lontana lungo la direzione di volo.
Se ci si avvicina alla città a quota costante questo angolo diventa sempre più grande; in una discesa verticale a distanza costante, invece quale potrebbe essere fatta da un elicottero) questo angolo diventa progressivamente più piccolo. Per ciascuna combinazione di quota e distanza iniziale, esiste una traiettoria di volo lungo la quale questo angolo visuale rimane costante.
Questa traiettoria di volo segue un arco di cerchio il cui centro sta al di sopra della zona illuminata e la circonferenza è molto prossima al terreno.
Il diametro di questa circonferenza è di solito abbastanza grande per dare l'impressione soggettiva di una discesa rettilinea.
Le prove furono fatte con diverse angolazioni dei terreno e nella prima figura nel testo in inglese [che segue] sono riportati due percorsi in volo curvilinei relativi a pendenze diverse della topografia della zona illuminata.
I piloti, attraverso l'addestramento e l'esperienza sviluppano [oltre alla percezione del rapporto di forma] una schematizzazione visuale di riferimento anche rispetto allo scenario generale e questa consente di solito di eseguire avvicinamenti convenzionali sicuri su terreno piano e di giorno.
Molti avvicinamenti regolari vengono effettuati mantenendo un nullo visuale (nessun cambio d'angolo), i piloti possono volare questo nullo visuale in maniera così consistente che quando vengono introdotte condizioni falsanti (quali raggruppamenti di luci irregolari, luci in pendio e altre caratteristiche topografiche) le loro traiettorie di volo arrivano a quote estremamente basse.
Queste prove vennero interrotte tutte a poco più di tre miglia dalla pista, distanza alla quale la percezione del movimento relativo, l'individuazione del punto di contatto (punto di mira) e la percezione dell'espansione radiale cominciano a influenzare favorevolmente la capacità di giudicare la quota alla velocità finale di 120 mph.
Non è comunque possibile definire esattamente dove i due meccanismi percettivi (volo in base alla costanza d'angolo all'occhio che sottintende una porzione di terreno illuminata e volo in base alla percezione della prospettiva di pista descritta precedentemente) si scambiano o si sovrappongono e come si influenzino reciprocamente.
Dovrebbero essere prese in considerazione molteplici combinazioni e, comunque, le variabili individuali dei piloti non consentirebbero una valida generalizzazione.
La seconda figura è una rappresentazione in cui è illustrato il risultato fornito dai 12 piloti che hanno effettuato avvicinamenti verso la città posta in piano e verso la stessa presentazione topografica ma posta in salita con una pendenza di 3°.
I segmenti uscenti verso l'alto dai vari punti rappresentano la quota stimata dei piloti.
Il fatto significativo da osservare è che gli angoli visuali nel punto terminale della traiettoria di avvicinamento alla città in pendio, erano essenzialmente gli stessi e che le quote effettive, in questo punto, furono mediamente circa 1300 ft più basse. In ogni prova i piloti furono avvertiti immediatamente prima del l'avvicinamento se la città era disposta in piano o in salita. In altre parole i piloti hanno continuato a visualizzare il complesso luminoso città/aeroporto, disteso su una topografia variabile, come rappresentativo di una situazione piana. Durante questa serie di prove diversi piloti volarono troppo bassi, molti al di sotto di quota zero e uno addirittura 2500 ft. sotto la quota dell'aeroporto.
Un'altra variabile che ha avuto un piccolo ma statisticamente significativo effetto sulla traiettoria di avvicinamento fu la distribuzione delle luci sul terreno.
Ci si aspettava che aggiungendo luci in modo da aumentare la profondità e la larghezza della città, ciò avrebbe generato dei riferimenti visuali migliori.
Tuttavia i dati indicano che complessi di luci più estesi e più complicati possono in effetti causare un peggioramento se questi tendono a dare sensazioni sbagliate, come nel caso di un terreno in pendio.
Dallo studio in questione sono risultate delle aggravanti al problema della percezione dello scenario di avvicinamento che sono state ritrovate, come fattori causali, in incidenti verificatisi precedentemente e che purtroppo sono stati di nuovo evidenziate in incidenti successivi.
Questi fattori sono:
- un lungo avvicinamento diretto verso un aeroporto situato sul bordo di una città;
- un aeroporto la cui pista ha un rapporto fra lunghezza e larghezza che non è familiare al pilota;
- un aeroporto situato ad una altezza più bassa e con pendenza diversa rispetto al terreno circostante;
- aiuti radio situati ad una certa distanza dall'aeroporto.
- illuminazione della pista sotto lo standard e altri aiuti all'atterraggio non esistenti;
- una città di forma irregolare e con illuminazione diversa fra varie zone situata in terreno collinoso al di là dell'aeroporto;
- fumi industriali o altri agenti oscuranti che diminuiscono la luminosità delle luci facendole sembrare più lontane.
Conclusione
Quanto fin qui esposto è in sintesi il risultato di studi condotti prevalentemente nel mondo anglosassone nel campo degli human factors e in seguito ad analisi di incidenti.
La risposta logica immediata che si potrebbe dare, che è tuttavia una raccomandazione ricorrente, è di dotare di indicatori strumentali di guida planata tutte le direttrici d'atterraggio di un aeroporto.
In realtà l'affidabilità e le qualità di emissione di un'apparecchiatura per l'atterraggio strumentale dipendono molto dal sito e terreni e piste con pendii, ostacoli lungo la superficie d'avvicinamento e altre complessità topografiche peggiorano o addirittura impediscono la possibilità di installare un'adeguata guida planata strumentale.
Pertanto una progettazione globale dello scenario d'avvicinamento che tenga conto dei problemi descritti è un'esigenza per un aeroporto proiettato nel futuro.
acpezzopane
Questo è il testo originale dello studio della Boeing pubblicato sulla rivista AIRLINER nel 1969 e più volte ripreso dalla Flight Safety Foundation
During the first eight years of commercial jet operations ‑ prior to 1967- approximately 16 percent of the major aircraft accidents occurred during night approaches over unlighted terrain or water toward well‑lighted cities and airports. Meteorological conditions in all cases were such that the flight crew could have employed visual reference to light patterns on the ground. In 1967, the accident rate under similar conditions was 17.5 percent. Accidents involving highly instrumented aircraft continue to occur during seemingly safe night visual approaches.
This article discusses one subtle aspect of night visual approaches that can lead even experienced pilots into dangerously low approaches. A study being conducted by The Boeing Company is based on commercial jet experience, but the problem is thought to extend to all types of operations and equipments: commercial, military, and private.
Boeing research with a simulator measures the relationship between pilot performance and the information he receives by looking out the windshield during a night approach. A number of variables (such as light patterns, terrain slope, darkened areas, starting altitudes, and distances) are being sampled to determine their effects on pilot performance in the absence of altitude information.
The city/airport model, including flashing lights, color and strobe effects, was mechanized to simulate a realistic view of a pilot‑controlled descent to the airport. In a series of tests, 12 senior instructor pilots each made 12 approaches. Periodically during these approaches, the pilots were requested to estimate altitude. Additional workload was introduced by having the pilots locate and report other traffic in their forward field of vision.
Pilots were allowed to choose their own descent path, except for two instructions: (1) They should attempt to be 5000 feet, 180 mph (156 Kts) at ten miles out, and (2) 1250 feet, 120 mph (104 Kts) at four and one‑half miles out (the point at which they might expect to intercept a 3 degree glide slope). The test conditions were terminated at four and one‑half miles, approximately one mile short of, and 250 feet above the point where relative motion would normally start to favorably influence altitude judgment at the end speed of 120 mph (104 Kts).
During these tests, a variable of major concern was the visual angle of the light pattern on the ground, i.e., the angle subtended at the eye by the nearest and farthest lights along the flight path. Closing on the city at a constant altitude, this angle becomes increasingly larger. In a vertical descent at a constant distance, such as made with a helicopter, this angle becomes progressively smaller. From any starting altitude and distance, there is a specific flight path in which this visual angle remains constant (Fig. 1). This approach path follows the arc of a circle centered above the pattern of city lights, with its circumference contacting the terrain. The diameter of this circle is usually large enough to give the subjective impression of a straightline descent.
Pilots, through training and experience, develop a visual frame of reference which allows them to conduct safe conventional approaches to flat terrain. Many successful approaches are made by effectively maintaining a visual null (no change to the subject angle). Pilots may "fly the null" so consistently that, when deceptive conditions are introduced (such as irregular light patterns, up‑slope lights, and other topographical features), their approach paths go to critically low altitudes. Figure 2 is a composite plot of the average performance of 12 experienced pilots flying approaches to a flat city and to an identical city with a 3 degree up‑slope. The bars projecting above the actual flight paths represent the pilots' estimated altitudes.
The significant point to be observed is that the visual angles at the terminal point in the approach to the sloped city were essentially equal and thus the actual altitudes at this point averaged some 1300 feet lower. In each case, the pilots were advised immediately prior to the approach as to whether the city was sloped or flat. In other words, the pilots continued to view the city/airport light patterns, spread out over varying topography, as representative of a flat city. During these series of tests, a number of pilots flew too low ‑ many below zero altitude, and one to 2500 feet below the airport elevation.
Another variable, which had small but statistically significant effect on approach path, was the distribution of lights on the terrain. It was expected that the addition of lights to the depth and width of the city would produce a better visual reference. However, data indicate that the larger, more complex light patterns may actually be detrimental if they tend to be misleading, as in the case of upslope terrain.
The following city/airport/approach features are considered to aggravate this problem:
- A long straight‑in approach to the airport located on the near side of the city.
- An airport runway length‑width relationship which is unfamiliar to the pilot.
- The airport situated at a slightly lower elevation and on a different slope from the surrounding terrain.
- The navigational facility located some distance from the airport.
- Substandard lighting of the runway, and other landing aids not available.
- A sprawling city with, an irregular matrix of lights spread over various hillsides in back of the airport.
- Industrial smoke or other obscurations, which decrease the brightness of lights and make them appear farther away.
The data being developed at Boeing support the visual angle hypothesis as one systematic explanation of night visual approach accidents. Investigations of possible solutions to this problem, and their interaction with other phases of operations will take time. However, there are immediately available means for potential reduction of night visual approach accidents. These include more frequent reference to aItimetry ‑ barometric or radar, cross checks with other crew members, and most important of all, knowledge and awareness of the special problems associated with these approaches.
(Da: Boeing Airliner, march-april 1969, "Night visual approaches" )